Da circa trent’anni diversi studiosi offrono spunti di riflessione importanti sulla tematica della comunicazione in classe. E’ questo un argomento, in ambito educativo, complesso e articolato da affrontare. I motivi sono di varia natura. Scorrendo il panorama delle ricerche, si notano la varietà di prospettive teoriche da cui si affronta tale problematica (sistemica, comportamentista, psicoanalitica, per citarne alcune solo in ambito psicologico), la molteplicità delle discipline coinvolte nel tema della comunicazione a scuola (pedagogia, sociologia, linguistica, psicologia), la diversità degli attori implicati nei processi comunicativi in contesti educativi (studenti, insegnanti, dirigenti, personale scolastico, genitori, agenti esterni alla scuola), non ultima la difficoltà (che in fondo è anche una risorsa) nel delineare in maniera precisa ed esaustiva strategie applicative in cui declinare il rapporto tra modalità comunicative ed apprendimento così da produrre relazioni efficaci e rendimenti migliori (molte sono le variabili da tenere in considerazione). Al centro del dibattito troviamo la figura dell’insegnante con una serie di contributi sulle modalità comunicative nel rapporto con gli studenti, sulla qualità dell’insegnamento in relazione al clima della classe, alla motivazione al lavoro scolastico, all’apprendimento e all’efficacia della didattica. La maggior parte dei punti di vista, partendo spesso dall’importante contributo di Rogers con il testo Libertà nell’apprendimento (1969, trad.it.1973), ridefinisce la figura dell’insegnante come facilitatore della comunicazione che pone attenzione non solo alla trasmissione dei contenuti disciplinari ma soprattutto al come tali contenuti vengono veicolati nella classe. Se le ricerche hanno dimostrato la stretta relazione tra una “comunicazione positiva” e i processi di apprendimento, la solidità di tale relazione è maggiormente argomentata rispetto alle dimensioni affettive e comportamentali che caratterizzano l’apprendimento, mentre sono più esigui e discordanti gli studi che hanno cercato di verificare tale relazione rispetto all’ apprendimento più strettamente cognitivo.
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