La Corte di Cassazione, con ordinanza n.9006 del primo aprile 2019, si è pronunciata in merito alla impugnabilità dei verbali di conciliazione sottoscritti in sede sindacale e dei requisiti cui gli stessi debbono possedere ai fini della loro inoppugnabilità.
La Corte ha chiarito che, in tema di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, “le rinunce e transazioni ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura”, illustrando al lavoratore compiutamente, ogni effetto e conseguenza discendente dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione,
La Corte d’appello ha precisato espressamente che condizione necessaria, ai fini della validità ed efficacia dei verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, e, quindi della loro inoppugnabilità è che l’assistenza fornita dal rappresentante sindacale sia stata effettiva, ossia idonea a porre il lavoratore nella condizione di poter conoscere a quale diritto rinuncia e la misura della sua rinuncia; requisito necessario è, altresì, quello di rilevare nelle transazioni l’oggetto della “lite” e le reciproche concessioni, in cui si estrinseca il negozio transattivo; il tutto anche alla stregua di quanto disposto dall’art 1965 c.c. (Cfr anche Cassazione 24024/2013).
La Corte ha precisato ulteriormente che, se il rappresentante dei lavoratori dà lettura del verbale di conciliazione ed illustra i diritti e le rinunce del lavoratore, il verbale di conciliazione è da ritenere valido e le rinunce non possono essere più impugnate dal lavoratore.
Ad ulteriore conferma di quanto sopra, è bene precisare che l’art. 2113 c.c. 4 comma, esclude tutte le rinunce e transazioni stipulate dal lavoratore in “sedi protette “dal regime delle impugnazioni previsto dai commi 1 e 2 dell’art 2113 c.c.; difatti, la norma in parola fa riferimento alle rinunce e transazioni effettuate:
a) davanti al giudice (art.420 cpc);
b) davanti alle commissioni di conciliazione costituite presso la direzione territoriale del lavoro (art. 410 c.p.c c) con l’assistenza del sindacato ex art. 411, c. 3 c.p.c.;
d) nelle forme regolate dalla contrattazione collettiva ex art. 412 ter c.p.c.;
e) davanti alle commissioni di conciliazione costituite ex art. 412 quater c.p.c.
In particolare, si è ritenuto che gli accordi sindacali sono validi, se la facoltà di stipularli è prevista dal contratto collettivo che va rispettato in ogni sua parte; anche nella ipotesi in cui ciò non è previsto dal CCNL la inoppugnabilità del verbale è ritenuta esistente con la semplice presenza del sindacalista che svolge il proprio ruolo, provvedendo a leggere il verbale e spiegarne il contenuto e sottraendo il lavoratore da qualsivoglia forma di condizionamento che potrebbe nascere dalla presenza datoriale; ovviamente è necessario che il negozio transattivo risulti da atto scritto e sottoscritto contestualmente da tutte le parti.
L’orientamento giurisprudenziale (CFR Tribunale di Roma sentenza n. 4354/2019) ritiene impugnabili, entro il termine di sei mesi dalla data di stipula, i verbali sottoscritti in sede sindacale nelle ipotesi in cui il CCNL di settore non disciplini l’istituto della conciliazione.
In buona sostanza, secondo tale convincimento, in base al combinato disposto dell’art 2113 ultimo comma c.c. e l’art 412 cpc, sono impugnabili solo i verbali di conciliazione nelle ipotesi in cui il relativo CCNL non prevede l’istituto della conciliazione ritenendo inoppugnabili solo le conciliazioni previste dai contratti colletti di settore.
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