l dietrofront sulle maxisanzioni sugli assegni privi della clausola di non trasferibilità svanisce proprio all’ultimo miglio. Il Consiglio dei ministri di ieri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo sull’accesso ai dati antiriciclaggio da parte delle autorità fiscali ma senza le norme (sollecitate anche dal precedente Parlamento proprio alla chiusura della legislatura) che avrebbero ridotto le penalità per chi emette e chi porta all’incasso gli assegni da mille euro a salire sprovvisti della clausola di non trasferibilità. Sanzioni che dal 4 luglio dello scorso anno vanno da 3mila a 50mila euro con la possibilità di oblazione (ossia il pagamento per chiudere la contestazione) da 6mila a 16.666 euro. Alla fine è prevalsa una linea di cautela all’interno dell’Esecutivo nella preoccupazione che l’inserimento potesse rappresentare un eccesso di delega rispetto alle finalità del decreto legislativo. Confermati quindi i dubbi che avevano messo fortente in bilico l’intervento.
La soluzione messa a punto dai tecnici di Mef e Palazzo Chigi, anche sull’onda di un forte clamore mediatico generato dalle segnalazioni di cittadini raggiunti da atti di contestazione con la proposta di oblazione per non aver apposto la clausola sugli assegni (con tanti casi raccolti anche dal gruppo Facebook «Maxi sanzione per assegno privo del non trasferibile» e l’interessamento del Capo dello Stato), prevedeva un ritorno a una sanzione proporzionale , non nella versione antecedente al 4 luglio 2017 ma con un meccanismo sanzionatorio del 10% per gli importi fino a 30mila euro e poi mantenendo la struttura attuale oltre quella cifra. Un nuovo sistema che, secondo lo schema d’azione ideato, si sarebbe applicato anche alle violazioni dal 4 luglio 2017 e questo di fatto avrebbe spalancato le porte ai rimborsi per quanti hanno già pagato l’oblazione, preferendo chiudere i conti e senza quindi inviare contromemorie difensive alle Ragionerie territoriali competenti.
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