a Circolare del Ministero del Lavoro n. 34 del 1999 elenca al suo interno le tre esigenze fondamentali cui risponde la necessità di avere un abbigliamento dedicato per lo svolgimento dell’attività lavorativa:
La Giurisprudenza ha disposto delle normative specifiche e molto rigide per quanto riguarda le modalità di utilizzo e manutenzione degli indumenti e degli attrezzi riservati ai dipendenti.
Tali disposizioni sono contenute nel Titolo III, Capo II del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro) che stabilisce gli obblighi da osservare sia da parte del datore di lavoro sia dal lavoratore stesso per quanto riguarda la gestione, la scelta e la regolarità dei dispositivi di lavoro.
Il datore, da un lato, ha l’obbligo di fornire ai suoi dipendenti i mezzi idonei allo svolgimento della loro attività in totale sicurezza, previa accurata valutazione e verifica del loro funzionamento e del loro stato.
Dall’altro lato, il lavoratore è obbligato ad attenersi alle norme e alle disposizioni aziendali in materia di sicurezza, nonché a utilizzare i Dispositivi di Protezione Individuale messi a sua disposizione e di averne cura, senza apportarvi alcuna modifica di sua iniziativa o senza autorizzazione e segnalando prontamente al responsabile designato per la sicurezza qualunque loro malfunzionamento o difetto.
Quando l’obbligo di osservare un certo abbigliamento sul luogo di lavoro riguarda la sicurezza stessa del lavoratore e non un mero fatto estetico, esso rientra nell’elenco di accessori e dispositivi volti a garantire la sicurezza e la protezione del lavoratore sull’ambiente di svolgimento della sua attività lavorativa, i cosiddetti Dispositivi di Protezione Individuale (in sigla DPI).
La scelta e la manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale sono a totale carico del datore di lavoro, che per legge deve assicurarne il funzionamento, il controllo e il rispetto delle condizioni igieniche, la manutenzione e la riparazione, come stabilito dagli artt. 74 e successivi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008.
I criteri di cui bisogna tener conto per la scelta dei Dispositivi di Protezione Individuale sono:
Nel caso in cui l’indumento prescelto per il lavoro rappresenti un’ulteriore protezione per il lavoratore – come ad esempio caschi, calzature antinfortunistiche, occhiali o maschere particolari – l’abbigliamento stesso rientra nella categoria dei Dispositivi di Protezione Individuale; pertanto è previsto che il datore di lavoro si occupi personalmente della scelta, dell’acquisto e della manutenzione del vestiario stabilito.
È necessario che garantisca un abbigliamento adeguato alle necessità del mestiere, pertanto opererà la sua scelta dopo un’attenta valutazione dei rischi e del tempo di esposizione del lavoratore ad essi, nonché dello stato generale dell’ambiente lavorativo.
Alla luce di quanto detto, se il vestiario rappresenta una necessità finalizzata alla protezione del lavoratore, allora il datore di lavoro ha l’obbligo di procurarlo ai suoi dipendenti e di occuparsi dei costi e della manutenzione a esso connessi.
E per quanto riguarda allora le divise e le uniformi con esigenza meramente estetica?
Se il contratto siglato tra l’azienda e il dipendente prevede una discrezionalità nel vestiario a cura del lavoratore, sarà egli stesso a provvedere all’acquisto, salvo diversa specificazione nel contratto che incarichi esplicitamente il datore di lavoro. Vige però la regola generale che il vestiario scelto, anche se a discrezione del lavoratore, sia comunque consono al tipo di lavoro da svolgere.
Se, invece, per il lavoro è previsto l’utilizzo di precise uniformi, è il datore di lavoro che deve certamente farsi carico dell’acquisto. In generale, soprattutto nei casi in cui l’obbligo di indossare una certa divisa dipende solo da ragioni gerarchiche o organizzative, i costi a essa connessa non devono gravare sui lavoratori né dal punto di vista economico, né da quello temporale.
Gli indumenti si possono acquistare in negozi, sia fisici sia online (https://www.eurohatria.com/it), specializzati nella vendita di indumenti da lavoro e divise, o con particolare riguardo alle scuole, come ad esempio istituti alberghieri e scuole di parrucchieri o estetisti. In particolare, sul web esistono molti e-commerce che permettono di visualizzare e scegliere le divise secondo le proprie esigenze e i propri gusti, o addirittura di personalizzarle come più si ritiene opportuno.
Per quanto concerne il lavaggio delle uniformi, bisogna fare di nuovo distinzione tra le divise utilizzate per scopo estetico o gerarchico e le divise catalogabili tra i DPI.
Nel primo caso, si predilige generalmente che il lavaggio venga eseguito dall’azienda per motivi di organizzazione e di estetica. Qualora fosse il lavoratore a provvedere autonomamente al lavaggio della propria uniforme, in teoria l’azienda dovrebbe corrispondergli un rimborso delle spese sostenute per il lavaggio, anche se nella pratica questa applicazione trova raramente riscontro.
Nel secondo caso, invece, date le caratteristiche che rendono l’indumento di lavoro un Dispositivo di Protezione Individuale, il datore di lavoro deve obbligatoriamente provvedere alla sua manutenzione e, quindi, anche al suo lavaggio.
Le modalità e le procedure da seguire in queste particolari casistiche sono contenute nella già citata Circolare del Ministero del Lavoro n. 34 del 1999, che prevede che il datore di lavoro provveda alla pulizia dei DPI e in particolare degli indumenti di lavoro con periodicità e con particolare attenzione ad eventuali contaminazioni da parte di agenti chimici, cancerogeni o biologici.
È possibile lavare gli indumenti all’interno dell’azienda o incaricare imprese di pulizie esterne che siano però altamente specializzate e a loro volta attrezzate ai rischi derivanti dal trattamento di questi capi di vestiario. La responsabilità di informare e addestrare il personale addetto alla pulizia rimarrà comunque a esclusivo carico del datore di lavoro.
Come detto, i costi connessi all’utilizzo del vestiario di lavoro non dovranno gravare in alcun modo sul lavoratore, nemmeno dal punto di vista temporale: è per questo che un ultimo aspetto importante da considerare è il lasso temporale di cui il lavoratore avrà bisogno per indossare la sua divisa.
Questo periodo di tempo viene definito tempo divisa o tempo tuta e viene a tutti gli effetti considerato come compreso nell’orario di lavoro e come tale regolarmente retribuito.
La Corte di Cassazione ha ribadito questo fatto con la recente Sentenza n. 9417 del 2018, in cui viene accolta la richiesta di un inserviente di una mensa aziendale di riconoscere il tempo impiegato per la vestizione come orario di lavoro regolarmente retribuito.
Nella stessa sentenza, viene inoltre stabilito che in alcuni contesti, come appunto quello di una mensa, il camice non si può indossare a casa propria per questioni igieniche e sanitarie, pertanto spetta all’azienda mettere a disposizione dei locali adibiti appositamente per la vestizione, come ad esempio degli spogliatoi.
La Suprema Corte con la Sentenza n. 2837 del 2014 aveva già stabilito che il tempo divisa è considerabile come regolare orario di lavoro nel momento in cui il datore di lavoro stabilisce luogo e durata della vestizione e nei casi in cui indossare la divisa è obbligatorio ai fini dello svolgimento del proprio mestiere.
I camici nel settore sanitario non vengono considerati dispositivi di protezione ma abiti da lavoro e pur non essendo dei veri e propri #DPI esistono delle regole antinfortunistiche che devono essere rispettate quando si fa la scelta secondo i sensi dell’art. 378 del DPR 547/55
In ambito sanitario il camice deve essere sempre allacciato a manica lunga. Per quanto riguarda la scarpa è fatto divieto indossare infradito
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